Certo, perché ogni stress accumulato in ufficio ha sùbito una risonanza tra le mura domestiche o più in generale nell’ambito privato.

Ma com’è, mi sto chiedendo, che in una giornata di festa, anziché pensare a godermela, penso a scrivere di lavoro….?

Forse perché credo fermamente, come ho sempre sostenuto d’altra parte, che il tempo trascorso al lavoro è un tempo prezioso, che dovrebbe arricchirci anche sotto il punto di vista umano, è il nostro confronto con la società, la capacità di dare valore e fissare priorità. Sia che si tratti di un part time che un full time, il nostro posto di lavoro è un vero banco di prova, ma lo è per tutti, a tutti i livelli. Ecco perché ogni qual volta mi capita di incrociare discorsi in questo senso, per me diventa quasi prioritario approfondirli e come in questo caso, provare a sottoporre l’argomentazione.

E’ da qualche settimana che mi trascino letteralmente dal tavolo della cucina al comodino della camera da letto alla scrivania ben due articoli che trattano la stessa materia. Appena intercettati su alcune riviste ho ritagliato la pagina e messa da parte, in un secondo tempo ho iniziato a leggerli e ad evidenziare le parti in sintonia col mio pensiero ed ora, terza tappa, provo a metterli insieme e sostenere ‘la causa’.

Il filosofo Umberto Galimberti per esempio intitola la sua riflessione “Per lavorare meno, bisogna liberare le passioni”. Per spiegarci questo suo punto di vista ha fatto un excursus sul mondo del lavoro e l’alta tecnologia che ormai lo ha invaso. Se da una parte ha spesso tolto professionalità all’uomo, dall’altro, come suggerisce Galimberti, ci insegna un altro stile di vita “Oggi – scrive il filosofo –  che lo sviluppo della tecnica ridurrà sempre di più i posti di lavoro, automatizzando un’infinità di operazioni un tempo affidate all’attività umana, si potrebbe RESTITUIRE ALLA VITA IL SENSO, che non è solo quello di dedicarla per intero al lavoro, ma di esprimerla in forme piacevoli e creative che neppure si riescono a immaginare se tutta la vita è assorbita dal lavoro

Una seconda recensione firmata G.R. mette invece l’accento sul sorriso con un titolo che un po’ ti spiazza se non hai un buon baricentro o una sana considerazione della vita: “Sorridi! Sei in ufficio

……E non fate quella smorfia, che la vedo! Niente linguacce per favore…azioni in controtendenza invece, forza! Un bel sorriso se siete al lavoro e magari riuscite ugualmente a leggere questo mio post.

Secondo il redattore “il sorriso è un’arma potentissima e chi la sa usare può assumere ruoli che contano parecchio in azienda, ma è un’arma a doppio taglio che può bruciare una carriera”. La differenza determinante la fa la spontaneità, se il sorriso è forzato, voluto, tentato, esagerato, ipocrita, è controproducente. E se pensiamo che le persone introno a noi non percepiscano la falsità di un atteggiamento, sbagliamo di grosso. Si può non essere scoperti al primo radioso sorriso, forse neppure al secondo o al terzo, ma al quarto falsissimo smile, tutto può crollare.

Due ricercatori americani autori dello studio ‘Un affare rischioso – quando l’umorismo accresce o distrugge lo status’ affermano che “saper ridere e far ridere i colleghi, è il più potente alleato per rinforzare le relazioni in ufficio e conquistare la fiducia dei vicini di scrivania”. I due ricercatori sottolineano ciò che ho sempre, oltre che sostenuto, anche vissuto, conoscendo tantissima gente, che le persone più potenti, sono meno inibite e più inclini all’umorismo. Per tutti gli altri, attenzione agli scivoloni