Quanto tempo ho passato a cercare quei foglietti scritti al volo tra un viaggio e un altro, lungo la banchina di una metropolitana, dopo aver letto su qualche bacheca/giornale/…o non ricordo dove un articolo firmato da Concita De Gregorio, che allora non sapevo chi fosse. Ma mi era così piaciuto quello che stavo leggendo da ricopiarlo al volo sulle pagine vuote di un’agenda da borsetta. Proprio scritte al volo con la preccoupaziuone che arrivasse il treno che stavo aspettando e la preoccupazione di non riuscire a ricopiarlo per intero. Poi ricordo che tra un riaprire i cassetti e i diari e le scatole del mio passato (operazione che faccio sistematicamente ogni tot di tempo un po’ per ritrovarmi un po’ per ritrovare) i foglietti sono sbucati fuori…e poi…rispariti…fino a ieri, quando ho scartabellato e spostato e aperto quaderni, libri, astucci, agende,….

Era il 2004 eppure la De Gregorio, di cui poi ho seguito le tracce, con il suo scritto è quanto mai attuale. Leggete, ve ne accorgerete, quando parla della paura del vivere dalla quale affrancarci quotidianamente

“Nella follia assoluta con cui ci stiamo abituando a convivere, la paura si trasforma in fatalismo e tutto alla fine torna come prima: si ricomincia a uscire, a viaggiare, a scendere nella metro, a prendere gli aerei, a frequentare ‘obbiettivi sensibili’ che tanto , se deve accadere, accadrà e nessuno può farci niente, nessuno ci difende. Prima o dopo succede a tutti, si scende un gradino di cupezza, si guarda altrove e si procede. La paura, infatti, come il dolore, è un efficacissimo antidoto ai pericoli noti, ma nulla può contro quelli ignoti. Spesso (non sempre) si riesce ad evitare di attraversare la strada nel punto in cui si è stati investiti da un camion,da un amore, da un lutto. Mai invece si riesce a prevedere da dove arriverà la nuova devastazione e allora restano due possibilità, barricarsi in un luogo sicuro, una stanza, una casa, una vita già allestita per la quiete. Oppure uscire e con il bavero alzato, provare ad arrivare di là. Non è chiaro se questa seconda categoria di persone sia più numerosa della prima, forse no, però è di certo più visibile, più esposta, in tutti i sensi.

Quelli dentro il recinto si incontrano sempre meno, tanto per cominciare. Prendono meno caldo, meno freddo e si ammalano poco. Gli altri, quelli esposti al vento, hanno invece chiari addosso i segni delle ingiurie. Sono più cagionevoli, portano pastiglie in borsa per curarsi da quello che sia il loro male. Più spesso piangono, più spesso ridono. Ne ho viste due, giorni fa, erano donne, ridere proprio di cuore e ritagliare la foto e la notizia del tipo travestito da Barman sul balcone di Buckingham Palace.

Una sciocchezza, certo. Una minuzia, ma l’essenza delle cose risiede sempre nei dettagli. L’idea che in tempi in cui si vive terrorizzati e controllati da webcam anche nei bagni dei locali pubblici, ci sia uno che attraversa Londra con la maschera di Barman e si arrampica sul balcone della regina, poi resta lì per ore chiedendo per favore un bicchiere d’acqua a quelli che gli puntano addosso la pistola, è entusiasmante: ridicolo l’affannarsi della sicurezza, geniale e semplice il gesto. Siamo tutti in balia di un Barman, tanto vale riderci. Perciò meno male che era il signor Jason Hatch, la cui foto ora è attaccata con un magnete sul frigo di quelle ragazze. Accanto alla vignetta di Altan dove uno dice all’altro “Poteva andare peggio” e l’altro gli risponde “No”.  E’ vero, non può andare peggio. Può solo, in brevi momenti, andare meglio.                                                          Concita De Gregorio