Tramandata di padre in figlio, una passione per tutta la vita.

In mostra quasi 12mila bottoni che arrivano dall’estremo nord della Lituania all’estremo sud del Sud Africa, dalle Filippine al Brasile, dal Quebec all’Australia

Premessa: questo incontro davvero fantastico è avvenuto alcuni anni fa e ancora ricordo l’energia di una persona davvero eccezionale, un “over” oggi si direbbe, con una attività mentale, creativa, comunicativa da far invidia a un’infinità di “under”, Giorgio Galavotti che è ancora al timone della sua creatura “Il museo del Bottone” nel cuore di Santarcangelo.

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“E’ una piccola grande ricchezza del territorio riminese, un’eccellenza nell’ambito artistico e culturale, un piccolo grande uomo..giusto per citare film e attori indimenticabili.

Giorgio Gallavotti è energia allo stato puro, esile, minuto, rigido direi se dovessi fermarsi al look scelto, quasi sacerdotale..eppure…eppure gli occhi tradiscono una natura esplosiva. Appena mi è stato presentato qualche tempo fa ho percepito immediatamente che stava “nascondendo” un vero tesoro, se stesso e la produzione della sua attività.    Non a caso, ammiccando amichevolmente, al momento del congedo mi ha apostrofato col sorriso “Scusa se ti ho attaccato un bottone…!

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Perché il Museo del Bottone di Santarcangelo, la cui notorietà a superato da un pezzo i confini italiani, è lui, è opera sua, tramandata di padre in figlio.

Per raggiungerlo, ancora una volta ho attraversato il centro magico di Santarcangelo, un paio di piazzette e una scalinata lieve che facendo un angolo scopre il luogo che accoglie il Museo. Caratteristico, come lo è tutto intorno il luogo, fatto di pietre, affascinante, pieno di colori, di luce..La giornata mi ha baciata, piena di sole. E tanta gente, curiosi, interessati, macchine fotografiche al collo.

Sono arrivato al Museo del Bottone perché fra io, mio padre e mia moglie abbiamo venduto bottoni per tutto il 1900, mio padre faceva l’ambulante e negli anni ’20 ha rilevato un bazar che era chiuso da oltre 20 anni e dentro c’era una parete di bottoni fine ‘800 primi ‘900”

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Il suo racconto è inarrestabile e sempre mantenendo un atteggiamento di compostezza direi quasi nobile, come si fatica oggigiorno a trovarne, sorride continuante

 “Abbiamo chiuso il negozio nel 2002, quindi possiamo dire che abbiamo venduto proprio i bottoni per tutto il ‘900. Una volta nn si buttava via niente, le rimanenze si mettevano lì”

E’ proprio attraverso questa sua creatura che si rispecchia la sua vita, perciò se si vuole scoprire la personalità di Giorgio Gallavotti, è necessario passare per il Museo, sua gioia e delizia. E’ negli anni ’80 però che inizia la svolta sull’intenzione o sul ruolo che i bottoni avrebbero ricoperto, perché Giorgio, uomo di cultura, oltre ad aver letto e amato molto i testi di storia, misticamente inizia ad imbattersi in bottoni che creavano simbologie, ricordando un avvenimento storico

Per esempio un bottone con le lettere dell’alfabeto ed ecco che mi veniva in mente la Montessori che era riuscita a far leggere e scrivere i bambini diversamente abili proprio mettendo loro in mano delle lettere dell’alfabeto in legno. Poi ho incontrato un lupo, beh tra il 1903 e il 1906 Jack London ha scritto ‘Zanna Bianca, il richiamo della foresta’. Il domare il lupo per noi in quel periodo è stato clamoroso perché sui nostri Appennini di lupi ne avevamo tanti, erano pericolosi non solo per gli animali, ma anche per gli uomini. Poi più avanti ho trovato i bottoni dei viaggi, gli americani hanno iniziato il turismo di massa, quindi ci sono i bottoni dei vari Stati del Mondo. Ma ci sono bottoni che si sono anche intrecciati con le scoperte delle tombe dei Faraoni, ce n’è uno bellissimo in ossidiana con la maschera d’oro

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E’ questo il plus valore, la svolta che Giorgio è riuscito a dare ad un patrimonio che sino ad allora si limitava a far parte di una merceria. Nel bottone, come in ogni altro aspetto dell’arte in senso lato, si legge la cultura, la politica, la società del periodo in cui è stato prodotto. E’ l’abilità di Gallavotti, santarcangiolese doc, è stata proprio capire questa possibilità e svilupparla

“Esatto, qui ci si limita ad osservare i bottoni, si va oltre. Perché i bottoni sono stati ovunque, dalle carceri ai palazzi dove si decidevano i destini dei popoli, ogni bottone ha almeno dieci facce di lettura: ostentazione,comunicazione, seduzione, provocazioni, a luci rosse, del gossip, del contrabbandiere, da lutto, di superstizione, ma sai che il bottone psicologico e virtuale molto birichino dei rapporti fra uomo e donna….”

Molto curiosa di scoprire quest’ultima possibilità gli chiedo di spiegarmi

“Negli anni ’70 la donna portava quella camicetta slacciata al punto giusto che poteva mettere in difficoltà chi aveva di fronte se osare o non osare, portava anche la minigonna, era molto generosa agli occhi degli uomini con il suo corpo scombussolando un po’ l’uomo che non era abituato a tanta ‘visibilità’. Nello stesso periodo uno stilista del popolo ha fatto la camicetta da jeans, il tessuto che andava per la maggiore negli anni ’70, quasi tutti vestivano di jeans. E lui che bottone ha scelto per le sue creazioni? Il bottone di piombo, lo specchio dei tempi, gli anni ’70 sono passati alla storia come gli anni di piombo e sul bottone lo stilista aveva scritto una frasettina “Attenzione vietato l’accesso alle persone non autorizzate” ma è anche stato psicologo due volte perché questa frase l’ha scritta in rilievo dello stesso colore del piombo, quindi da lontano si vedeva che c’era una scritta, però per leggerla bene bisognava avvicinarsi e a quel punto si poteva anche approfondire il secondo tema che forse era interessante……”

Quanti bottoni sono esposti oggi?     “Adesso ne abbiamo quasi dodicimila, arrivano dall’estremo nord della Lituania all’estremo sud del Sud Africa, dalle Filippine al Brasile, dal Quebec all’Australia”

Giorgio ha anche una spiccata capacità di descrizione e mi parla di alcuni bottoni in modo particolare, tanto avvincente il racconto che non puoi poi non andare a cercare quel bottone per guardarlo con altri occhi

“C’è la simbologia di un bottone arrivato nel 2012 da Amsterdam, grande circa 4 cm di diametro, tutto di legno, tutto lavorato a mano con lo stile nordico, sembra un bottone dei vikinghi, l’ha fatto un artigiano del legno e lo ha donato al Museo accompagnandolo con una lettera che rispecchia lo spirito con cui la gente manda i bottoni al museo del bottone ‘ :“Sig. Gallavotti questi bottoni hanno oltre 100 anni, però hanno anche dormito 60 anni in un cassetto. Li mando a lei perché si sveglino”

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Giorgio, nonostante i tanti anni passati in mezzo ai bottoni continui a mantenere altissimo il tuo stato vitale e traspare proprio la gioia di esserci, ne trai ancora tanta soddisfazione?

“Tanta e per il semplice fatto che abbiamo avuto 200mila visitatori in solo 5 anni di attività fissa, 128 le Nazioni sul libro delle firme e abbiamo anche conquistato il mondo. L’anno scorso, nel 2013 saranno venute oltre 30 persone da tutto il mondo e hanno raccontato di aver conosciuto il Museo attraverso il loro mass media. Pensa che il 31 dicembre 2012 alle 5 del pomeriggio squilla il cellulare. Era una giornalista cinese accreditata in Italia per il Global Time di Pechino, su cui ha scritto spesso del nostro museo”

Soddisfazioni su soddisfazioni………“Tutti i giorni ho delle soddisfazioni e questo grazie anche al computer che è diventato l’anima della comunicazione, ho due siti internet, il blog e facebook”.

Ed è quando gli chiedo del luogo che accoglie il Museo che “Il museo è gestito da una associazione no profit, la presidente è la proprietaria dei locali insieme alla sua famiglia. Essendo lei già un’appassionata di arte, è una pittrice ed è bravissima nell’organizzare eventi di matrice artistica”

Combinazione perfetta, come quella del bottone con la sua vita? Mi sembra di capire che questa passione ti assorba tutto il giorno…….“Dovrei avere giornate come minimo di 36 ore perché dormo pochissimo.La mia vita è stata molto elaborata, non sono mai morto di noia. Sono stato a Mosca un mese nel ’57 subito, in un momento storico diciamo pure poco rilassato, ma c’era il Festival mondiale della Gioventù e io non potevo non essere là. Poi fino a 22 anni correvo a piedi, sono arrivato terzo nei 5mila metri nei Campionati italiani. E soprattutto ho vissuto per viaggiare, anche quando avevo la famiglia. Chiudevamo per tre settimane il negozio, mettevamo i ragazzi nella macchina e giravamo tutta l’Europa e quando ci stancavamo dell’Europa prendevamo l’aereo e via.. siamo arrivati sino a Capo Nord, abbiamo fatto l’America dell’Est, New York, Washington, le Cascate del Niagara”

Sei stato fortunato ad avere la famiglia che ti ha seguito e non ostacolato

“Io sono venuto su da un padre all’antica, lui è stato vice sindaco di Santarcangelo, subito dopo la guerra. Quando lui usciva dal Comune per andare a Rimini o a Forlì, in provincia allora, lui prendeva il mezzo pubblico e lo pagava lui. E quando durante l’ultima guerra c’era il coprifuoco, noi la sera chiudevamo tutte le finestre e ascoltavamo il radiogiornale di Qui Londra. Insomma da mio sono sempre stato abituato ad essere aggiornato attraverso radio e giornali e la stessa cosa ho fatto io con i miei figli, ne ho due, un maschio e una femmina. Non ho mai comprato un libro delle vacanze perché tutte le mattine c’erano due giornali da leggere e il telegiornale si sentiva tutti i giorni. E durante le vacanze si studiava la storia, la geografia perché si andava nei musei,..”

Giorgio hai un personaggio di riferimento o un motto che ti accompagna?

 “Il mio punto di riferimento e il Re Sole Luigi IV° – mi confessa anticipandolo con un nientepopodimeno che.., ma da  lui tutto ciò che emerge non ha nulla di tarato su linee piatte –  Quando facevano le riunioni di governo a Versailles aveva una veste con 816 bottoni in pietre dure, ma 1826 bottoni in diamanti perché era la sua pietra preferita, 14milioni di franchi d’oro in un pugno di bottoni. La frase invece che mi è rimasta impressa è “Quando devi fare una cosa pensa se è realizzabile, però quando la fai falla in grande..!”

Stupendo!

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