perchè ho scoperto che si tratta di una nuova generazione di imprenditori, quelli che vorremmo essere tutti noi, se avessimo un po’ di fegato (un po’ di coraggio). I proseliti dell’ essere un “bobu” sono quelle persone che vogliono lavorare certo, ma solo quando, come e nell’ambito che vogliono loro. Insomma una buona dose di creatività, di determinatezza e la voglia di buttare alle ortiche sveglia, cartellinitimbrare, traffico di punta, uffici sgradevoli,…..

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E’ stato anche definito il profilo del “bobu”. A descriverne i tratti, come scopro leggendo un articolo firmato da Deborah Ameri, Tom Hodgkinson, “bobu” lui stesso e autore del manuale di sopravvivenza ‘Business for Bohemians‘.

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Intanto l’età, il Bobu ha all’incirca 35 anni “predica alti ideali – come si legge nell’articolo – ed è in cerca di libertà rifiutando ogni sistema di lavoro tradizionale e soprattutto si sente creativo. E ancora suona l’ukulele (chissà perchè proprio questo strumento, mi sono chiesta. Poi grazie a Google sono andata a digitare proprio “ukulele” e ho scoperto che è uno “strumento musicale hawaiano, frequente nell’orchestra jazz, simile ad una piccola chitarra, con quattro corde di acciaio che vengono pizzicate con un plettro di feltro; ha un timbro nasale e di breve vibrazione”. Insomma uno di quegli strumenti che, sembrerebbe, ti pongano in armonia con l’universo).  New Age? Magari no, ma di certo molto lontano da una grancassa, da una chitarra elettrica o da una batteria.

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Ah, a proposito, visto che i “Bobu” a mio dire sono anche abbastanza scontati nel loro ‘modus operandi’, praticano yoga, indossano skinny jeans, giacca in tweed e ai piedi le ‘brogues’. Dettaglio che la dice lunga sul voler essere lontani da ogni sistema convenzionale, perchè modello di scarpa molto trend, si tratta di un classico stringato in pelle, tacco basso e il caratteristico motivo traforato a puntini. Le specifiche si trovano sul sito  bally.it, dedicato proprio a questo tipo di calzatura che ha origni gaeliche. Abbigliamento finto casual, direi arricchito dalla barba che è tanto di moda oggi. L’ultimo esempio è di questi giorni…Masini a Sanremo, su tutti.

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In pratica semmai ci venisse la voglia di essere padroni di noi stessi o la crisi ci spingesse a crearci spazi alternativi, diventando così lavoratori autonomi, sappiamo che possiamo accomodarci dentro il cassetto con scritto Bobu. E’ giusto però sottolineare, come si evince leggendo l’approfondimendo della Ameri, che di solito per avere successo come Bobu, si dovrebbe essere davvero parecchio creativi, prestigiatori, saper tirare fuori dal cappello quello che ancora manca o che ancora non è stato fatto come voi pensate possa avere successo. Vedi produrre solo birre, oppure aprire un punto ristoro dove consumare solo cereali, di ogni genere e grado (sono questi alcuni degli esempi che trovo scritti nell’articolo). Si cita anche l’esempio di tre mamme lavoratrici di Los Angeles che non riuscendo a coniugare lavoro e famiglia si sono inventate l’HipSkipDrive ovvero una sorta di taxi per bambini. “Al volante ci sono delle Mary Poppins – si legge – che portano i piccoli clienti a scuola, al corso di arte, a calcio, a pallavoolo,..ovunque ci sia bisogno di trasportarli”. Sembra sia ora una strat up in espansione.

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Però….certo, c’è un “però”: “L’elenco dei Bobu falliti – conclude la Ameri – è come l’enciclopedia britannica”. E’ giusto saperlo..anche perchè se va male, almeno si potrebbe optare per il piano B. Anche Gianni Morandi, ce la cantava “Uno su mille ce la fa!”. Quanto mi piaceva quella canzone..e quanti pianti ci ho fatto sopra…

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