Per la serie “Impariamo a riderci sopra!”

Devi raccontarli sul tuo blog” così mi ha apostrofato un’amica collega, sfinita probabilmente dai miei racconti di vita che elargisco ogni tanto, quando sono molto stanca e perciò, in maniera direttamente proporzionale, ho la parlantina sciolta. Proprio come in una legge di fisica, tanto più sono stanca, tanto più chiacchiero.

Be’ in effetti racconti di vita ne ho scritti e ve ne ho proposti, però è anche vero che si è sempre trattato di argomenti particolarmente legati agli affetti, al lavoro, ai viaggi. Mai niente che riguardasse il Fantozzi che è in me, che alberga comodamente in me e che non ho mai pensato di scacciare. Ci sono state volte, soprattutto da adolescente, ma anche da giovanissima donna, in cui sinceramente mi sono vergognata, ma in seguito a ben vedere non ho potuto che riderci sopra. Emblematica la volta che partita dalla stazione di Milano mi sono ritrovata a…….

Pensate che questo episodio  mi è stato vietato di raccontarlo per anni dalla mia ‘vittima’, colui che ho trascinato nella situazione nonostante la sua riluttanza, il mio ex marito. Ebbene, da qualche tempo per lavoro, viaggiavamo spesso in direzione Milano e quasi sempre in treno. Entrambi impegnati, anche se in ambiti diversi, tra l’allora Fininvest e i vari poli di produzioni radio televisive. Erano i primi anni ’90.

Quella mattina rientravamo a casa e siccome il mio ex marito puntuale non lo è stato quasi mai, quella volta ho talmente insistito che ci preparassimo in tempo, che ci recassimo in stazione in anticipo, che eravamo in testa al binario da cui in genere partivano sempre i treni a lunga percorrenza verso la riviera romagnola, con un’ora abbondante di anticipo. Mi sentivo un po’ in colpa per avergli imposto un’alzataccia e una corsa serrata alla stazione, ma io volevo tornare a casa e il pensiero di poterlo perdere mi ossessionava.

Era mattina presto e un treno in effetti c’era già, lì, bello, davanti a noi sullo stesso binario da cui partivo sempre. Ero sicura che fosse il nostro e che attendesse solo noi. Il mio ex marito invece continuava a mostrarsi recalcitrante e decisamente indispettito mentre continuava a dirmi che sui display non era segnalata la presenza del treno con la sua destinazione, la tabella elettronica in testa al binario era vuota, ma io imperterrita continuavo ad insistere che quello era il “nostro treno”…eppoi…”guarda c’è anche una prima declassata, viaggeremo benissimo e non c’è ancora nessuno..dai saliamo, saliamo” gli dicevo per invogliarlo a seguirmi salendo a bordo di una carrozza. In un batter d’occhio sono salita e il mio ex marito, poverino, non ha potuto che seguirmi. Mi ero appena sistemata da gran dama in quella prima declassata con le nostre valigette e i primi cellulari al braccio quando si chiudono tutte le porte….e il treno parte!!!

Panico totale! Ci siamo guardati con gli occhi spalancati e proprio come raccontano che accade in momenti particolarmente drammatici, in un attimo ti passa tutta la vita davanti…la mia… “Cosa succede? Dove andiamo? Non c’è nessuno sul treno! Non si aprono neppure i finestrini…aiuto!!”

Poi con un  guizzo teatrale che ormai riconosco di avere nei miei primi cinque minuti di dramma, prima che riprenda possesso di me stessa e della situazione, ho appoggiato le mani ad un finestrino come fosse l’ultimo bagliore di luce, spaurita chiedendo dove stesse andando il treno a quei pochi operai già al lavoro a quell’ora lungo le rotaie, mentre il convoglio ferroviario lentamente, ma inesorabilmente, si lasciava il corpo centrale della stazione alle spalle.

Ma anche loro alzavano le spalle con espressioni vuote.. e io sempre più agitata mentre il mio ex marito (che non osavo guardare per paura di scoprirlo arrabbiatissimo) cercava invece di calmare la situazione “Dai che dovunque vada faremo i biglietti e torneremo indietro, da qualche parte andrà”…

Non osavo guardarlo “mi sbranerebbe, se potesse, lo so” dicevo a me stessa…

Finalmente il panico ha lasciato posto alla mia ri-compostezza, sempre vissuta con un gran senso di colpa e intanto il treno lentamente sferragliava fuori stazione senza che noi riuscissimo a capirne la direzione fino a che……”…no non è possibile, c’è un tunnel davanti a noi…no, dentro il tunnel no…!” ..Gridavo dentro di me guardando quell’apertura nera che si stagliava non lontano, ma per fortuna che il convoglio, con nessuno a bordo salvo noi due, ha preso la direzione di un marciapiedi dove un tot di operai aspettava con attrezzi nelle mani….”Mamma mia ma dove siamo finiti!?”..domandavo a me stessa senza osare rivolgermi al mio ex marito né con lo sguardo ancor meno a parole.

Ebbene, il nostro viaggio (almeno una tranche, perché ci aspettava ancora la ciliegina sulla torta) terminò.. AL LAVAGGIO DEL TRENO! Sìì, eravamo finiti al cantiere dei treni…”E adesso come usciamo da questa situazione in maniera degna?” continuavo a chiedermi mentre ci preparavamo a scendere belli impettiti nei nostri trench da business persons, valigette in mano e telefonini in spalla…Bella figura! D’altronde un certo contegno bisognava pure darselo. Ma mentre il mio ex marito si limitava a rimanere in silenzio, io fintamente spavalda mi sono preparata davanti all’uscita più vicina e nel momento in cui si sono spalancate le porte ci siamo trovati gli operai, che non si erano accorti di noi, pronti che le pompe d’acqua in mano a mettersi al lavoro. .. Povera me, che vergogna! Nonostante questo con un’aria da pulcino bagnato e il ditino alzato, l’indice della mano destra a voler dire non so che mi sono sentita dire “…che vergogna, siamo saliti troppo presto..”

E loro di rimando “Signora non si preoccupi ieri ci è arrivato un treno carico di persone”…ahahahaha…mal comune mezzo gaudio? Chi è che lo diceva? Il mio ex marito no di certo, ma per me è stata come una ciambella di salvataggio emozionale in quel momento, sentimento durato il tempo di scendere i gradini e realizzare il fatto che, magari saremmo dovuti tornare indietro, mica potevamo rimanere lì! Detto fatto, un tecnico ci ha invitati a salire sulla…locomotiva..sìììì, la locomotiva, che era stata staccata proprio per essere utilizzata come S.T.P.I. (acronimo di Servizio Trasporto Persone Imbecilli).

Anche in questo caso mentre cercavo di rimanere composta, di non perdere il mio inconfondibile “aplomb” inglese, dentro ero attraversata da moti di sensi di colpa sempre più giganti, vergogna, terrore “cosa mi dirà appena saremo soli? Non lo voglio sapere, non lo voglio sentire..”. Una girandola di vocine che avevo dentro mi hanno accompagnata mentre, sempre avanti come uno sparviero, salivo la scaletta che ci portava all’interno della locomotiva. Il mio ex marito sempre dietro in silenzio assordante e serissimo. Sempre per cercare di smorzare la tensione con un “tocco di eleganza chic” giusto per non lasciare solo il macchinista che, poverino, ci stava riportando in stazione, mi sono avvicinata a lui per fargli compagnia (perché, ne aveva bisogno?) con qualche chiacchiera amena (l’assurdità nell’assurdo, chissà anche lui cosa avrà pensato). E giusto per alleggerire tutto ho scelto di evere in mano, anziché quei tomi pesissimi che sono sempre andata leggendo, la rivista di pettegolezzi che aveva nella borsa per i momenti di pausa mentale. Ma chissà, mi chiedo oggi, perché quella scelta d’immagine?

Fatto sta che al malcapitato macchinista racconto un po’ di cose (l’ho detto che sotto stress chiacchiero) fino a fargli una richiesta lacrimosa “La prego non ci porti da dove siamo partiti..che mi vergogno un sacco”

E così fu, ci sbarcò al primo binario abbastanza discreta la discesa e poi….via dietro l’angolo. Un guizzo ed eravamo di nuovo nella nostra vita…anche se con la paura questa volta di perdere il treno, quello vero, visto che tra un prillo e l’altro, eravamo arrivati anche in ritardo!