Sarò brevissima….distorsione professionale, poi si finisce sempre per non esserlo. Io per prima quando per lavoro intervisto persone che hanno davvero qualcosa da dire… magari qualcosa che non vorrebbero dirti, ma di cui senti la presenza, in una parola ricorrente, in un gesto, in una pausa, in un commento e alla fine la sensazione più gratificante è in primo luogo avere avuto la conferma che il tuo ‘sentire’ non ti ha ingannato, poi vedere dall’altra parte.. la resa, nel momento in cui la fiducia riesce a trasmettersi da una persona all’altra. Io descrivo questo momento come quello “della sedia”, la persona si siede, virtualmente, ti consegna, per la fiducia che sente di avere nei tuoi riguari, qualcosa di suo e non per tutti. Si entra in sintonia.
E’ una gioco armonico che ho provato molto spesso. Ricordo molto netta questa sensazione quella volta che telefonicamente incontrai, tra i tantissimi, anche un noto personaggio televisivo, scrittore e critico letterario, di cui nutrivo sinceramente una certa soggezione proprio per il suo modo di presentarsi, crudo, di persona che sa di sapere un sacco, che non vuole essere scocciata, che..uffa…ancora?, insomma quel tutto d’un pezzo che crea solo distanze.
Ovviamente la mia preparazione all’intervista è stata come sempre minuziosa, ma con ospiti di questo genere non sai mai quanto una domanda potrebbe risultare tanto intelligente quanto era sembrata a te. I primi minuti devo dire sono stati abbastanza freddi (di solito in queste occasioni, per un effetto psicologico, “mi va via la voce”, sento che la sforzo enormemente. In quell’occasione invece non è accaduto).
Ma non mi sono arresa e ad un certo punto gli ho rivolto quella domanda che è stata la chiave di volta. Gli avevo dimostrato “di avere centrato esattamente ciò che lui intendeva“.. ed è stato lì che il nostro dialogo è completamente cambiato, “si è seduto”, abbiamo colloquiato a lungo e alla fine ho ricevuto anche i suoi ringraziamenti. Questo vuol dire per me “esserci”. Empatia? Preparazione? Semplicità? Rispetto? Umanità? Comprensione? Chissà.. forse un po’ di tutto questo….
Peccato che la stessa alchimia non sempre si riesca a trasferire sui parenti più stretti, i figli…giusto per prendere qualcuno.. a caso (ahah) La scoperta che ho fatto recentemente mi ha aperto nuovi orizzonti e fatto capire ancora…cose! E’ così che ho capito che a mio figlio, non è mai arrivato, nel corso della sua adolescenza, il sostegno da parte mia e di suo padre in relazione alla sua grande passione per la musica. E allora tutte quelle volte che gli abbiamo dimostrato quanto ci piacesse ciò che riusciva a creare? E tutte quelle volte che lo abbiamo spinto a mettere tutto su una chiavetta o un cd per poi provare a proporre del materiale a professionisti del settore? E tutte quelle volte che……? E tutte quelle volte che….? E tutte quelle volte che….?
Appunto, ma dopo il primo momento di ‘mamma-smarrimento’, orgogliosissima del figlio che la vita mi ha regalato, ho capito qualcosa che mi stava sfuggendo, anzi che proprio non avevo visto, almeno in questa relazione genitori (noi)/figlio. Nostro figlio, in quella fase, non era della nostra approvazione che aveva bisogno, l’aveva ma per lui era invisibile. La voleva dall’esterno alla famiglia e la sua richiesta di attenzione ci bypassava….
Ahiaiaiaii, averlo inteso prima avrei chiamato un esercito di amici e parenti a dargli man forte… io mica mi offendo né sono gelosa! L’importante è arrivare alla meta (come poi è stato alla grande), non è necessario essere sempre i protagonisti della storia, soprattutto se la storia non è la nostra.